Tanzania nakupenda Kwa moyo wote (Tanzania ti amo con tutto il cuore)
Sull’aereo di ritorno dal mio primo soggiorno in Africa, nel dicembre 2011, già stavo ragionando sul modo in cui ci sarei potuta tornare. Avevo capito che si era instaurato un legame e un amore profondo tra me e il continente africano.
Circa otto mesi più tardi un caro amico, notando la cupa insoddisfazione in cui vegetavo mi ha guardato negli occhi e mi ha detto, serio: “Elisa tu lo sai che se vuoi andare in Africa puoi chiamare mia mamma, vero?”
La sua mamma è Anna Fin, dell’Associazione Gocce. La chiamai. Conobbi lei e suo marito Fabio. Conobbi e parlai con Jessica che aveva già svolto un periodo di volontariato nell’ospedale di Ifakara e che stava per ripartire proprio per quel luogo.
Grazie ai loro racconti e al loro aiuto circa l’organizzazione pratica ma anche emotiva del viaggio, nel giro di poche settimane avevo in mano il biglietto per la Tanzania e a inizio Novembre 2012 sono sbarcata a Dar Es Salaam pronta a iniziare i miei mesi di volontariato al SFRH di Ifakara.
Il sole equatoriale, i clacson, il caos stradale tipicamente africano e moolto altro mi hanno accolto fuori dall’aeroporto di Dar, ricordandomi ciò che già avevo provato in Cameroun e facendomi subito commuovere.
Raccontare l’Africa è difficile, raccontare ciò che è stata la Tanzania per me è difficilissimo. E’ un insieme di sensazioni, odori, volti, relazioni ed emozioni forti, non sempre semplici, che si sono legati indissolubilmente a un livello ancestrale e profondo della mia mente.
L’odore del riso e del fuoco al tramonto, i colori delle donne e la loro magnifica femminilità, gli occhi scuri e profondi delle persone, il caldo e la polvere, la pioggia e i piedi che affondano nelle pozzanghere, la disorganizzazione a volte incredibile, il cielo immenso, le braci, le danze, la sonorità dei dialoghi, le attese…potrei continuare per pagine intere ma nessuna parola è esatta per descrivere la Tanzania.
Perché nulla è lineare, perché nulla è logico, perché tutto o quasi sfugge alla nostra comprensione di wazungu (bianchi/occidentali), perché tutto rimane su un piano emotivo.
E allo stesso tempo la Tanzania, o meglio la sua gente, pur essendo splendida, è a tratti dura, complessa, e cercare l’integrazione richiede uno sforzo continuo.
Il lavoro in ospedale mi ha insegnato molto, anche se non sempre è stato facile. La lingua inizialmente estranea ha rappresentato un ostacolo non da poco. Le risposte delle persone al dolore, alla morte, alla perdita di affetti si sono rivelate completamente diverse da quelle che conoscevo. Inoltre le frustrazioni e le tensioni in un ospedale africano possono essere molte. Ma basta prendere le cose nel modo giusto e capire che andare in Africa non significa insegnare grandi saperi o salvare il mondo, significa imparare e aiutare, nel proprio piccolo. Ho avuto la fortuna di incontrare delle bellissime persone a Ifakara e al SFRH, persone che sono diventate la mia famiglia. Sono sempre stata felice di svegliarmi e andare a lavorare, ogni giorno.
Sono sempre stata felice.
Un collega e amico poco prima che partissi mi ha detto: “Narudi Elisa, narudi kwa kula maisha tanzania” (Torna Elisa, torna a mangiare la vita tanzana)
E’ quello che farò.
Ringrazio con il cuore Anna, Fabio, Francesco e Jessica.
Elisa Trebbi, Infermiera
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